Ci sono cinque squadre che, a loro modo, hanno disegnato una pagina importante nella storia del calcio. Vediamo insieme che fine hanno fatto.
La fine di queste realtà, almeno a livelli importanti, è dovuta a diversi fattori. In primis, geografici, con la disgregazione dell‘Urss. In tal senso la caduta del Muro di Berlino nel 1989 ha fatto la differenza.
In secondo luogo, a determinare la discesa nell’anonimato di queste realtà, anche il contesto socio-economico. Nazioni piccole con un bacino di utenza ridotto, oltre al fatto che in certi paesi, giocare a pallone, non rappresenta più la via d’uscita per combattere la povertà.
C’era una volta l’URSS. La grande Madre Russia vede la propria nazionale scendere in campo nel 1922, a Pietroburgo la Finlandia perde 4-1. Stiamo parlando della rappresentativa della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa. A suo modo un evento storico perché il primo incontro internazionale di una rappresentativa sovietica di ogni disciplina sportiva. Il primo sigillo giunge nei Giochi di Melbourne 1956: medagli d’oro superando 1-0 la Jugoslavia l’8 dicembre 1956. A emergere fu il mitico portiere Lev Yashin. I primi mondiali vennero disputati nel 1958 in Svezia: eliminati dai padroni di casa ai quarti. Nel 1960 arriva il trionfo al Campionato europeo: Viktor Ponedelnik segnò il 2-1 che condanno al Jugoslavia alla sconfitta.
Passando ai Mondiali, ’Unione Sovietica diede il meglio nel 1966 in Inghilterra: i sovietici si arresero in semifinale alla Germania Ovest per 2-1. Infine, l’URSS si qualificò alla fase finale degli Europei del 1992, cui però non partecipò per la scioglimento dello Stato. L’ultima recita fu del 3 novembre 1991 contro Cipro.
La seconda rappresentativa di cui parliamo è la Jugoslavia, terra che in termini sportivi ha sempre prodotto talenti straordinari. La nazionale di calcio ha avuto vita dal 1920 al 1992. Nel 1968 arrivò alla seconda finale di un campionato europeo, stavolta contro l’Italia a Roma. L’8 giugno finì 1-1 dopo i supplementari, non c”erano i rigori e si rigiocò 48 ore dopo e vinsero gli azzurri. Anche la Jugoslavia pagò il suo stato geografico-politico. Qualificatasi per la fase finale del Campionato europeo di calcio 1992, venne escluso a causa del conflitto che la vide coinvolta. Curiosità, l’Europeo lo vinse la Danimarca che venne ripescata al posto degli slavi. La Jugoslavia disputò la sua sua ultima gara il 25 marzo 1992 contro i Paesi Bassi: l’amichevole finì 2-0 per gli olandesi.
La nazionale della Cecoslovacchia ebbe il merito di vincere un europeo nel 1976 e disputare due finali mondiali nel 1934 e nel 1962. La rappresentativa di Praga vinse anche un oro e un argento Olimpico. La prima volta in campo fu il 28 agosto 1920: 7-0 alla Jugoslavia. La Cecoslovacchia dal 1° gennaio 1993 si divise in Repubblica Ceca e Slovacchia. L’ultimo atto “post mortem”, dopo la divisione, furono le qualificazioni (fallite) ai Mondiali di USA ’94.
Le ultime due nazionali di cui ci occupiamo sono Perù e Ungheria. La rappresentativa sudamericana, affiliata alla CONMEBOL, ha dato il meglio tra gli anni Trenta e gli anni Ottanta del XX secolo. Nel palmarès del Perù registriamo 2 Coppe America nel 1939 e 1975. Attualmente sono all’11° posto nel Ranking mondiale FIFA. L’apice dal Perù venne toccato negli anni Settanta, con talenti come Teofilo Cubillas, Héctor Chumpitaz e Hugo Sotil. Arrivando ai nostri tempi, dopo lo 0-0 in trasferta nella gara di andata, il 15 novembre 2017 il Perù superando 2-0 la Nuova Zelanda, si è qualificata al Mondiale, da cui mancava da Spagna 1982. L’Ungheria ha partecipato nove volte ai Mondiali (finalista nel 1938 e nel 1954, ultima partecipazione nel 1986) e tre a quelli europei. Simbolo del calcio magiaro, ovviamente, Ferenc Puskás. Quest’ultimo nel 2005, è stato indicato dalla Federazione nazionale come Golden Player, ovvero il miglior calciatore del primo mezzo secolo di vita dell’UEFA. Saltando al XXI secolo, nelle qualificazioni ad Euro 2012 la nazionale guidata da Egervári arrivò terza e fallì l’obiettivo. Al momento, seppur in parziale crescita, per l’Ungheria non si vedono i prodromi per una rinascita ai livelli del passato.
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