Le parole molto chiare e dure del patron sul calcio italiano tra perdite continue e la questione fondi di investimento
Il calcio italiano continua a vivere momenti complicati in campo, ma anche fuori. Tante società, anche tra le più importanti, hanno passato periodi delicati a livello finanziario e altre restano sotto la lente dell’Uefa per il Fair Play Finanziario. Anche se società come Milan in primis, ma anche l’Inter e la Juve sono in ripresa. Ma senza poter spendere e spandere. Dietro invece le difficoltà sono evidenti e ancora di più nelle altre categorie.

A lanciare l’allarme è Antonio Gozzi, presidente della Virtus Entella in Serie B: “Il nostro calcio, tra Serie A e B, ha perso 5 miliardi di euro negli ultimi 5 anni. Si può andare avanti così? No, non regge. E bisogna capire come renderlo sostenibile. C’è un calcio che va sempre più verso la dimensione europea, con 5 o 6 società italiane. Il resto appartiene a un altro mondo, che regala spettacolo a suo modo”.
“È evidente che vada fatto qualcosa, riflettiamoci: A e B a 18 club e C a 40, ingaggi troppo alti, settori giovanili in B e C, giovani in campo come obbligo remunerato. L’Entella nel suo piccolo è un supereroe in un calcio che ha un lato oscuro della forza. Mi sento di adottare il motto del Barcellona: “Més que un club” (“più di un club”), grazie ad asilo nido, liceo sportivo, giovanili, impegno sociale”.
Gozzi contro i fondi: “Non sappiamo chi sono. Rischiano di esplodere”
Nell’intervista a ‘Il Secolo XIX’, Gozzi continua ad analizzare la difficilissima situazione e le prospettive tutt’altro che rosee del nostro calcio e non solo: “La Serie B perde 200 milioni a stagione, in media circa 10 per club. Anche se c’è chi, come l’Entella, fa meglio sotto questo punto di vista: questo vuol dire che alcune società registrano un rosso anche di 15″.

Al centro anche la questione dei fondi, centrale ormai vista la presenza massiccia, ad esempio all’Inter o al Milan: “Qual è il modello di business dei fondi stranieri? Non lo capisco. All’inizio pensavo a un richiamo da parte delle città d’arte dove sviluppare calcio e affari. Capisco Commisso a Firenze che è un po’ come l’emigrante che ritorna a casa o gli Hartono a Como, ma gli altri? Abbiamo visto anche a Genova come molti arrivino e se ne vadano. In queste situazioni spesso non sai chi siano e chi decida ma, soprattutto, perché lo facciano. Perché perdere decine di milioni all’anno? Questi modelli, alla lunga, rischiano di esplodere”.
